Scrivere e annoiare. Oppure scrivere ed emozionare, entusiasmare e far leggere con l’evidenziatore in mano. Le strade non sono poi così tante; peccato che spesso decidiamo di imboccare quella che ci porta verso il solito posto. Verso l’ennesimo luogo comune. In questo post ti proponiamo consigli ed esercizi per liberare la tua penna dal fardello dei cliché.
“Che barba, che noia!”, diceva Sandra Mondaini in Casa Vianello. E questo è pure ciò che pensano i lettori che si trovano di fronte i soliti testi, piatti e incolore. Solo che i lettori non te lo dicono che si annoiano; loro ti abbandonano e non ti si filano più. Questo succede soprattutto quando i tuoi testi mancano di personalità, di brio, di spessore e di originalità. Quando scrivi cose già scritte e riscritte da mille altri prima di te. Quando invece di scrivere meraviglie, apri il cassetto delle merdaviglie e tiri fuori l’ennesimo cliché.
Ma adesso quel cassetto ti convinceremo a chiuderlo. A doppia mandata. Per sempre.
Perché usiamo i luoghi comuni. Perché li odiamo
Perché usiamo i cliché? Semplice: perché sono dei salva-energia. A differenza di quanto molti possano pensare, il cervello non ha come compito il farci fare cose, ma farcene fare un numero ridotto. Il giusto. In altre parole, la missione del cervello è farci preservare energia. I cliché in tal senso si innestano alla perfezione nella strategia cerebrale: sono forme pronte all’uso, frasette da buttar giù al volo come riempitivo senza starci troppo a pensare.
È proprio questo il problema. La scrittura è una disciplina che richiede grande consapevolezza; è una strada che va percorsa tutta, in salita, senza scorciatoie, senza mezzucci; è sudore, è impegno e dispiego di infinite risorse. Ogni volta che scriviamo noi dobbiamo pensare; non solo per amore verso la scrittura, ma anche per amore verso noi stessi e per rispetto verso gli altri. Ogni parola, ogni metafora, deve essere piena e vibrante. Altrimenti è morta. Inutile. Ecco quindi perché usiamo i cliché: per risparmiare energia. Ed ecco pure perché li odiamo: perché sono forme inutili, che nulla ci danno se non tedio.
C’è un passaggio, nel libro Amata scrittura di Dacia Maraini, che spiega bene questo concetto: “I luoghi comuni, per esempio, non trasmettono assolutamente nulla. I luoghi comuni sono spesso legati a delle metafore, ma si tratta di metafore già sentite e masticate. Se io leggo «Un tramonto da favola», per esempio, rimango assolutamente fredda. Anzi, mi irrito, perché percepisco la volgarità del luogo comune, che oltretutto non mi dice niente su quel tramonto. Mentre se io leggo il poeta russo Esenin che scrive: «Il tramonto, papavero acceso», sento subito qualcosa che mi incuriosisce e mi cattura: tutte e due mi parlano di un tramonto, ma il primo mi annoia e il secondo mi esalta. È sempre una questione di parole. Il primo dà l’impressione della rifrittura, il secondo mi fa rivivere il tramonto attraverso una ardita emozione linguistica.”
Il nocciolo della questione sta qui: i luoghi comuni uccidono le emozioni.
Esercizi per eliminare i luoghi comuni
Prima di eliminare i luoghi comuni, devi saperli riconoscere, perché magari li usi e neppure lo sai. Il giornalista Roberto Parodi ha registrato un video per la sua pagina Facebook in cui raccoglie, magistralmente raccoglie, i luoghi comuni più usati dai giornalisti. Guardalo, e poi riprendiamo da qui.
- Luoghi comuni dei giornalisti
- Luoghi comuni dei giornalisti
- Pubblicato da Roberto Parodi su Lunedì 25 giugno 2018
Ma come ci si libera dei luoghi comuni? Massimo Roscia, autore del libro Peste e Corna, ci dice che “basterebbe riflettere prima di parlare o di scrivere, riducendo al minimo, se non eliminando del tutto, quelle espressioni plastificate, inutili e mediocri che, ripetute alla noia, si svuotano di significato, anestetizzano il pensiero, azzerano la nostra capacità espressiva, scadono nella banalità e, a lungo andare, diventano insopportabili”. Sì, ce ne rendiamo conto: non è poi così facile. Ma eliminare queste stringhe vuote ci aiuterà a riempire di valore ed emozioni i nostri testi, per cui: diamoci da fare!
A questo punto, quindi, ecco qualche esercizio per allenarti a schivare e rimpiazzare i luoghi comuni con forme nuove e creative. Nel già menzionato libro, Dacia Maraini propone di provare “a scrivere qualcosa sul mare senza cadere nei luoghi comuni, nei gerghi più usati, nelle metafore più logore. Empedocle ha chiamato il mare «sudore della terra», Marinetti l’ha definito «ballerina orientale», Pablo Neruda l’ha cantato come «piuma stellata». E Ungaretti scriveva: «Col mare / mi son fatto / una bara / di freschezza». E voi che direste?”.
Altri esercizi:
- come descriveresti una persona tutta “pelle e ossa”, senza usare questa forma trita?
- E se dovessi parlare di una location che si trova in una “cornice spettacolare”, come potresti dirlo in un altro modo?
- Ancora: prova a descrivere una “pioggia torrenziale” senza chiamarla così.
Aspettiamo i vostri esercizi nei commenti e, mi raccomando: nei luoghi comuni ci siamo già stati tutti, fin troppe volte; porta gli altri lettori in posti che nemmeno il GPS conosce.
E se vuoi imparare a progettare testi davvero privi di luoghi comuni…
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